Di EMANUELE CATONE

Le cuccive (r’ cucciv) sono un piatto composto da cereali e legumi bolliti e conditi, che a Buccino viene preparato il 13 dicembre, giorno in cui si festeggia Santa Lucia.

Ingredienti e Preparazione. Secondo la tradizione la ricetta prevede l’utilizzo di 13 ingredienti, in parte cereali (grano, granturco, farro, orzo, avena, riso) e in parte legumi (fagioli, ceci, lenticchie, cicerchie, fave, favucce, piselli). Gli ingredienti si mettono a bagno in acqua calda e sale due giorni prima del 13 dicembre; la mattina di Santa Lucia, poi, si mettono tutti a bollire e a cottura terminata, le cuccive vengono scolate e condite con olio di oliva soffritto con aglio e peperoncino o con olio a crudo.

Il Nome. Il nome (più spesso cuccìa) deriva probabilmente dal greco antico «kokkos» κόκκος (cioè grano, chicco), o dal greco volgare «tà koukkìa» (chicchi) come riferisce il linguista Gerard Rohlfs, da cui deriva poi il termine siciliano “cocciu” (granello).

L’origine. Sull’origine di questo piatto, l’amico Simone Valitutto scrive: «la consumazione di cereali non macinati e legumi è collegata al ciclo del grano, alla necessità di rispettarne il seme e propiziarne la germogliazione prima e la morte in spiga poi. La celebrazione della fase vitale e simbolica che ruota attorno ad un elemento agrario fondamentale per le comunità agricole tradizionali – il grano, appunto – si riscopre così anche sulla tavola, tramandato da leggende o testimonianze familiari. (…) Antropologi e studiosi, analizzando la presenza di pietanze analoghe nel bacino del Mediterraneo e nelle regioni caucasiche, ne ravvedono le origini indoeuropee di un rituale legato all’interdizione di macinare il grano per risparmiargli ulteriore violenza in vista di una prospera mietitura. Il grano, il cui percorso da seme a frutto è affidato al controllo di santi e defunti, mangiato intero conserva la sua fecondità in fieri e assume il ruolo di cibo sacro, da far germogliare nelle pance dei contadini che l’hanno seminato e che lo mieteranno. Discorso analogo è quello dei legumi. Fagioli, ceci, piselli e fave dalle forme e colori differenti, oltre a bilanciare i valori nutrizionali dei cereali, fanno delle cuccive una summadi immagini e significati simbolici(…). In Italia questa modalità di cottura e consumo di cereali e legumi è legata alla presenza di comunità monastiche di origine orientale che qui, nel Medioevo, l’adottarono e la diffusero. (…)».

Tradizionalmente le cuccive nelle loro diverse varianti hanno tutte il legame col grano e con Santa Lucia. Una delle leggende più accreditate in merito racconta che il 13 dicembre del 1646 una nave carica di grano approdò a Palermo (o nel maggio a Siracusa, secondo un’altra versione), ponendo fine ad una grave carestia. Per poterlo consumare immediatamente il grano non fu macinato, ma direttamente bollito e mangiato. Da quel momento il 13 dicembre in segno di devozione e ricordo dell’evento miracoloso, non furono più consumati cibi a base di farina.

La statua di Santa Lucia conservata nella Chiesa Madre (foto Giovanni Marottoli)
La statua di S. Lucia custodita nel santuario di S. Maria delle Grazie (foto Gerardo Volpe)

La diffusione. Le cuccive, con alcune varianti e con nomi diversi, sono presenti non solo in tutte le regioni dell’Italia meridionale, ma anche in una vasta area che va dal Mediterraneo ai Balcani e perfino alla Russia. Esse vengono preparate in occasione di festività nel periodo invernale o tardo primaverile. Simone Valitutto scrive: « I giorni durante i quali si consuma questa pietanza (alla base di dolci o nella forma di zuppa e insalata) variano da regione a regione e sono calendarizzati a partire dal periodo dei santi e dei morti (31 ottobre, 1 e 2 novembre), passando per San Nicola (6 dicembre), Santa Lucia (13 dicembre), San Biagio (3 febbraio), San Teodoro (17 febbraio), festività dei defunti nei paesi di rito bizantino (sabato precedente il Carnevale), periodo pasquale, arrivando al Primo Maggio».

La tradizione a Buccino e dintorni. A Buccino dove, proprio per il legame con Santa Lucia, si credeva che questa zuppa proteggesse dalla cecità, la tradizione vuole che i legumi si cuocessero nella pignata, la quale veniva poi lasciata sotto il camino affinché Santa Lucia vi posasse il proprio piede, quale buon augurio per il riposo invernale dei terreni agricoli e per la fioritura primaverile. In passato, il 13 dicembre, dopo la celebrazione della prima messa della giornata, c’era l’usanza, soprattutto da parte dei bambini, di girare per le case del paese e di chiedere, invocando la protezione della Santa, un mestolo di cuccive, che venivano raccolte in un secchio di rame. Era tradizione che le cuccive fossero l’unica pietanza che si mangiava nell’arco della giornata. Prezioso in questo senso il ricordo di Maria Rosaria Pagnani: «Sempre quando ero bambina tra l’arco del Barone e la casa di Verderese col terrazzino a ponte, io e le mie amiche del vicinato giravamo casa per casa a chiedere: “Cuccive! Cuccive!”. Mia madre preparava nell’ingresso di casa piccoli sacchi di juta contenenti fagioli, ceci, lenticchie, fave secche e cicerchie che prendevamo a piene mani. L’offrire e il ricevere era una festa condita da timidi sorrisi e Santa Lucia e il suo martirio ne erano l’occasione».

Le cuccive si preparano allo stesso modo a San Gregorio Magno e a Romagnano, oltre che a Ricigliano, dove vi è l’abitudine però di consumarle nella serata del 12 dicembre. Nella vicina Palomonte, invece, come ci informa Simone Valitutto, le cuccive si preparano il Primo Maggio «in vista dell’esplodere della bella stagione e in relazione ad antichi rituali agrari di cui oggi si sono purtroppo perse le tracce». In quel caso «il grano, il granone e i legumi messi in ammollo nei giorni precedenti in acqua abbondante sono gli ultimi conservati nelle dispense e nei granai, hanno superato l’inverno e vengono raccolti anche tra parenti o vicini di casa per raggiungere una quantità tale da poter essere poi condivisa in segno di buon augurio. Passata la notte nell’acqua, il miscuglio di cereali e legumi si mette a bollire in una grossa pentola per diverse ore a fuoco lento, scolati i semi e fatti raffreddare si condiscono a piacimento con sale, olio extravergine d’oliva, aceto, origano. Si dice che mangiare questo piatto protegga dall’attacco a corpi e piante dei moscerini e rafforzi il processo di maturazione delle spighe».

La zuppa di S. Lucia si prepara con vari nomi anche in vari luoghi del Cilento e della Basilicata. Ad esempio a Padula, dove si preparava in comunità, rispecchiando il termine siciliano, è chiamata la Cuccìa, lo stesso termine è usato in Basilicata, per esempio a Pignola e a Castelmezzano, dove ancora oggi si prepara in maniera comunitaria e viene servito in piazza. Col nome di “Cicci di Santa Lucia” la zuppa è chiamata nei paesi dell’Avellinese e del Cilento. A Centola è invece individuata come la “Cicciata di Santa Lucia”.

In Calabria la zuppa a cereali e legumi si aggiunge talvolta anche la carne, come riporta Vito Teti: «La «cuccìa», preparata in diverse circostanze festive in Calabria (periodo natalizio), Basilicata, Cilento e Sicilia con cereali (grano, granturco, farro, ecc.), ma anche ceci, fave, cicerchie bolliti a cui talvolta si aggiungono carni di animali minuti, è un piatto povero e insieme elaborato, con antecedenti nel mondo antico. Siamo in aree collinari e montane, dove la base dell’alimentazione è costituita da vegetali, erbe, legumi, mais, castagne, patate e dove la carne di ovini e suini compariva a tavola soltanto in occasioni eccezionali e festive».

In Sicilia la cuccìa è più diffusa oggi nella sua versione dolce, in cui al grano vengono aggiunti ricotta fresca, zucchero, cioccolato fondente, zuccata, arancia candita, latte e vaniglia.

Le cuccive sono uno dei piatti della nostra antica tradizione che, purtroppo come tante altri pezzi della nostra storia, va lentamente scomparendo… Concludiamo, perciò, condividendo l’auspicio di Simone Valitutto: «Questo piatto antico, va rifatto germogliare, va riportato sulle tavole e condiviso come un tempo; se in alcuni paesi è al centro di sagre e riproposizioni nei menù di ristoranti e agriturismi, slegati dal contesto rituale, occorre ripartire dal vero significato di questo miscuglio di semi cotti e conditi per rimettere in circolo la condivisione e la fertilità tra diverse culture, diverse epoche, diversi sapori.

Ringrazio Simone Valitutto, Antonella Freda, Maria Rosaria Tortoriello e Cosimo Robertazzi per le informazioni sui paesi circostanti; Giovanni Marottoli e Gerardo Volpe per le foto utilizzate.

BIBLIOGRAFIA

M.R. Pagnani, Le tradizioni del Mezzogiorno. A tavola con i Santi, in «La Voce di Buccino», XIV/3 (autunno 2008), p. 4, leggibile qui.  

K. Trimarco – A. Giglio, Antichi Sapori, in «Volcei Oggi», Anno 0, Numero 0 (dicembre 2008), p. 18, leggibile qui.

SITOGRAFIA

Simone Valitutto, Le cuccive di maggio

Vito Teti, Cuccìa

Wikipedia, s.v. Cuccìa